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Il Fagiolo Secondo del Piano di Orvieto riconosciuto Presìdio Slow Food
Sostengono le piccole produzioni tradizionali che rischiano di scomparire. Valorizzano territori. Recuperano antichi mestieri e tecniche di lavorazione. Salvano dall’estinzione razze autoctone e varietà di ortaggi e frutta. Ad oggi, sono 533 – 289, in Italia – i Presìdi Slow Food che coinvolgono più di 13.000 produttori. Dal 1999, il progetto è diventato uno dei veicoli più efficaci per mettere in pratica la politica dell'associazione sull’agricoltura e la biodiversità.
A nove anni dall'avvio, nel 2008, Slow Food Italia ha accolto una richiesta dei produttori: l’assegnazione di un marchio da apporre sulle confezioni, per identificare, tutelare e valorizzare i prodotti dei Presìdi italiani. Tra questi, ora, se ne aggiunge un altro, con tanto di firma del primo cittadino. Si tratta del Fagiolo Secondo del Piano di Orvieto, già presente nei documenti della Cattedra Ambulante di Agricoltura alla fine del 1800.
Al cosiddetto "oro bianco" – così era conosciuto nel secolo scorso, come testimonia un documento del 1917 nel quale l'allora sindaco faceva richiesta alla Commissione Provinciale di Agricoltura di trenta prigionieri di guerra per l’imminente lavoro di mietitura e semina dei Fagioli Secondi del Piano – è dedicato anche la pubblicazionerealizzata dagli allievi del Centro Servizi Formativi di Orvieto, presentata lo scorso anno.
"L'avvenuto riconoscimento del presidio – commenta soddisfatta Carla Lodi, fiduciaria della Condotta Slow Food Orvieto – rappresenta un bel modo di festeggiare il 'Terra Madre Day' didomenica 10 dicembre. Ora, l’obiettivo è lavorare insieme per presentare ufficialmente il nuovo presidio al Salone del Gusto di Torino nel 2018, con la convinzione che questo fagiolo sia solo il primo tassello della ricostruzione di un paniere dei prodotti tradizionali del territorio orvietano in via di estinzione".
Il suo essere di "seconda coltura" – dal momento che veniva seminato dopo la mietitura del grano tra giugno e, al massimo, i primi di luglio per poter essere poi raccolto ad ottobre – ne ha determinato il nome. Dal Dopoguerra in poi, sia per la crisi dell’agricoltura, sia per la scarsa convenienza economica – quasi tutto il processo di semina, raccolta e pulitura veniva e viene fatto ancora a mano – la sua coltivazione è andata a scomparire.
Pochi, i semi nelle mani di premurosi agricoltori che per generazioni hanno continuato a lavorare le terre del Piano tramandando i segreti di questi preziosi fagioli bianchi di piccole dimensioni che possono essere considerati gli unici rimasti tra quelli usati dall’inizio del secolo scorso. Da alcuni anni, la Condotta Slow Food di Orvieto lavora al loro fianco di quei produttori per salvare questa co/ultura e rendere di nuovo il Piano di Orvieto un luogo di produzione. Un’area da valorizzare che altrimenti rischia di perdere progressivamente la propria identità.
Un lavoro supportato dalla Camera di Commercio di Terni e dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Orvieto che, insieme, hanno sostenuto una parte considerevole dei costi necessari per il riconoscimento ufficiale del presidio. "Il supporto vero – sottolineano dalla Condotta – è venuto proprio dai produttori che, con lungimiranza, hanno creduto e credono in questo progetto. A gennaio 2016 è nata così un’associazione culturale fra produttori che con grande dedizione e vera passione hanno deciso di mettersi in gioco per riprendere la coltivazione e condividere tutte le difficoltà che essa comporta: la mancanza di macchinari adatti a facilitare il processo di coltivazione, la raccolta e la ripulitura.
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