settembre
Carlo Petrini (Slow Food) - I piccoli Comuni sono l'Italia più vera

Spero che la pensata di cancellare i Comuni italiani sotto i 1.000 abitanti alla fine rientri e che quindi possa tranquillamente passare alla storia come una delle proposte più balzane, vuote e grottescamente dannose di questa fase politica, già la più deprimente di tutta la storia repubblicana. Suona come una presa in giro e speriamo resti nelle intenzioni stralunate di chi l’ha formulata: uno degli ultimi sberleffi di una classe dirigente che ha perso il senso della realtà.
L’idea non ha senso: nel bailamme in cui ci troviamo, se c’è una domanda che fanno sempre più spesso i cittadini è quella che pretende più democrazia partecipata, la possibilità di avvicinarsi alle istituzioni e dialogare con esse. I piccoli Comuni sono, da questo punto di vista e nella stragrande maggioranza dei casi, un elemento virtuoso. Sono gli ultimi rari esempi di una politica di servizio vera, tangibile, utile. I politicanti di mestiere se la prendono con i più piccoli, quelli che non hanno voce, coloro che invece andrebbero difesi anche allo strenuo dei bilanci: indipendentemente dalle loro idee politiche, gli amministratori dei piccoli Comuni sono al servizio delle loro comunità, soprattutto quelle minime e isolate. Sono i presìdi di ciò che rimane dello Stato: non abbandonano gli anziani nelle zone montane, garantiscono i servizi essenziali, sono istituzioni presenti e consapevoli del loro territorio, laddove più c’è bisogno di mantenere la piccola agricoltura e i suoi prodotti, il paesaggio, tramandare l’arte e la memoria locali, preservare le persone e la loro cultura. Questo è un patrimonio che andrebbe profumatamente incentivato piuttosto che cancellato a colpi di burocrazia ignorante. Bisognerebbe investire su di loro, perché scommetto che saranno i modelli di una nuova qualità della vita per il futuro. Se mai ci fosse bisogno di accorpamenti, di condividere i costosi servizi, lascino almeno che siano i cittadini a decidere, luogo per luogo, a seconda delle diverse esigenze e come si sta già facendo da tempo.
Anche perché il bluff è stato presto smascherato: i circa 5 milioni di Euro che si risparmierebbero sono un’inezia a confronto dei costi della Casta, pubblicati ovunque negli ultimi mesi. Senza andare troppo in alto, sarebbe sufficiente eliminare una decina di consiglieri regionali per Regione, che singolarmente guadagnano più dei Sindaci di aree metropolitane importanti, per soddisfare ampiamente il bisogno di quella cifra. Ridicolo, perché inoltre questi Sindaci quasi sempre sono dei volontari che lasciano i loro emolumenti nelle casse del Comune, a disposizione per interventi di manutenzione, ristrutturazioni, il verde pubblico, altre evenienze. E che dire dei Consiglieri comunali, forti dei loro rimborsi di massimo 36 Euro al mese? Persone che lo fanno per passione e per spirito di appartenenza a una comunità, segni di una vitalità e di un’abnegazione che quasi sempre riescono a superare le beghe paesane per conseguire il bene comune.
Ecco dunque un altro dei tanti beni comuni sotto attacco: la democrazia partecipata delle piccole comunità locali. Un tentativo di affossamento, tra l’altro, che avvallato dalla Lega può ben decretare la fine di ogni idea o sogno di federalismo, perché chi si riempie la bocca da anni con questi proclami poi non può negare il diritto di esistere a queste realtà, cancellarle, mettere in ogni modo il bastone tra le ruote ai loro amministratori, impedirgli di lavorare. Se si guarda alla Lega di Governo, la pensata risulta ancora più grottesca.
E poi non sono questioni di campanile: se un taglio volevano dare hanno proprio sbagliato soggetto, perché l’immediata reazione compatta dei Sindaci in questi ultimi giorni ha bene evidenziato quanto il loro compito infine sia trasversale, immune dai giochi di un bipartitismo quanto mai sterile e fracassone, se mai è esistito per davvero. Oggi i Comuni sono la vera politica, che tra mille difficoltà risolve realmente i problemi, fa sentire i cittadini partecipi e ha un’importante presenza storica: pochi giorni fa su queste pagine si è parlato del piccolo Comune di Barolo, dalle mie parti, che dà anche il nome al vino pregiato. Non riesco a immaginare che sparisca, se penso a quando negli anni ’60 il Sindaco, Battista Rinaldi, fece appello ai suoi abitanti per acquistare il castello del paese, altrimenti destinato al degrado, con una sottoscrizione. Risposero tutti, fieramente pagando di tasca propria: ora il Castello è un bene del Comune, dei suoi cittadini.
In Francia, in Spagna, in Germania, in tutta Europa i piccoli borghi e villaggi sono un segno di presenza dello Stato, di storia e di civiltà che inorgoglisce quelle Nazioni e che lo straniero visita volentieri: noi invece proponiamo uno scempio del genere, oltretutto senza nessun nesso logico tra costi e benefici. Che vergogna.
Di Carlo Petrini
Tratto da La Repubblica 28/08/11